22 mag 2011 - Il Corriere della Sera | Ermanno Paccagnini
Il mistero di una madre assente e i turbamenti del giovane
Ermes
Ha piu' del racconto lungo che del romanzo E' colpa di chi
muore di Franco Calandrini (titolo che richiama un verso di La cattiva strada
di De Andre'), che aveva esordito quarantasettenne nel 2008 coi racconti di Io
non so fare niente. Una vicenda che si svolge nelle trentasei ore rivissute
attraverso un ravvicinato flashback a partire da un presente col quale si apre
e si chiude il volume, nel quale si aprono altri piu' lontani flashback sull'
infanzia del protagonista. Un presente che vede un diciannovenne Ivan forse un
po' troppo adulto e colto spingere la carrozzina del vecchio padre Ermes,
invalido settantenne che vive anche un processo di menomazione mentale fatto di
coscienza e vuoti, a poche ore dalla morte e dal funerale della madre, di cui
Ermes pare essere all' oscuro. Ed e' un viaggio non solo nell' immediato di
azioni e gesti che accompagnano Ivan nella quotidianita', con un padre
bisognoso e irritabile in quei primi momenti di lutto, ma soprattutto negli
squarci memoriali dei rapporti di Ivan con la ?traballante? madre, cantante
lirica di modesto talento che soprannomina con amorosa rabbia Mademoiselle
Butterfly. Anni che Ivan rivive con sofferenza e alla cui reale conoscenza
concorrono - mettendo in crisi quelle che ritiene indiscutibili certezze -
anche gli incontri con la zia Marta e un vecchio collega spasimante della
madre, personaggi in certo senso cinematografici (cui si rifanno pure certi
esterni come il viaggio in pullman o in taxi, o la scena del cimitero), che
pero' in diversa misura aprono in Ivan spiragli sulla rivelazione finale. Una
madre spesso lontana nel calcare i palcoscenici di provincia, che ha vissuto in
simbiosi con l' ex burattinaio Ermes almeno sino alla nascita di Ivan; il quale
si vede investito della colpa di essersi di fatto intromesso tra loro, con la
madre che tarda e sempre piu'spesso non torna a casa. E il racconto e' anche il
disvelamento inatteso e anzi inimmaginabile dei silenzi e delle lontananze di
lei, che mai ha abdicato all' intenso amore per il marito pur nell' allignare
delle violenze di Ermes nei suoi confronti, raggiunto attraverso un procedere
in climax emotivo dovuto agli elementi agnitivi che spuntano; anche se
persistera' in Ivan e nei lettori il mistero della morte della madre, tra
ipotesi suicide e strane ferite (mistero infittito da una confessione
sacramentale del padre). Un racconto soprattutto d' anime, che si riflette in
un paesaggio non solo piovoso ma da nubifragio, speculare a quanto accade nella
mente e nell' animo di Ivan, e sottolineato dalla prevalenza d' un procedere
dialogico, ove l' assenza stessa delle virgolette ribadisce anche come, quando
Ivan non parla col padre o la zia Marta o con altri personaggi sporadici, e'
con se stesso che parla. E non per nulla il cedimento di tale procedere avviene
ove a questo monologo subentrano momenti riflessivi depositati sull' esterno,
piu' da esercizio di stile, come nelle pagine d' avvicinamento all' ospedale
(pp. 38-39), o soluzioni ricercate come il dialogo fittizio o certi ricordi
dialogici con la madre (pp. 80-83). Cosi come non mi convince tanto la
rappresentazione dell' altalenante smemoratezza paterna. Sono momenti in cui
non per nulla a cedere e' pure la secchezza della scrittura, che invece e' la
cifra piu' propria all' autore nel ripercorrere quei deserti d' anima.
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