I vincitori del concorso
Prosapoetica 2006
I giurati Angelo
Leva, Gilberto Gavioli, Luigi Nacci, Martino Baldi, Rosa Elisa Giangoia, Tiziana
Cera Rosco e Fara Editore sono lieti di proclamare vincitori della V edizione
del Concorso Prosapoetica i seguenti autori:
Franco
Calandrini di Ravenna con Non so fare niente (vince 20
libri Fara)
Racconto magistrale. Racchiude in sé una vita e in due righe
riesce a fare sognare e rabbrividire. Credibile in ogni sua parte, ricorda
essenze Carveriane nella sua ricerca estrema del profondo di fondamento del
vivere quotidiano, ricorda Ermanno Krumm e Tiziano Rossi nella prosa alla fine
poetica. Abilità sopraffina dello scrivere, richiamo del cuore e della passione.
(Angelo Leva)
La prosa della camionista mi è sembrata quella che realizza in maniera più compiuta un'idea di vera e propria narrazione, con scelte linguistiche mirate all'obbiettivo. Il soggetto e il trattamento mi sembrano poi tra quelli più "aggiornati"; in questo caso aggiornati a certa narrativa post-cannibale e che del cinismo cannibale ha comunque tenuto un'eco nel gusto di uno straniamento raggiunto per iperbole, ironia o paradosso. Il racconto disegna tratttorie tutt'altro che scontate (p.e., la storia dei tempi in cui non c'era il servosterzo), regala un'aforisma da filosofia del camionismo ("Il senso della manovra penso che è una cosa ereditaria come non so le lentiggini o un brutto carattere") e nel complesso tiene e diverte, nonostante alcune ridondanze. (Martino Baldi)
La prosa della camionista mi è sembrata quella che realizza in maniera più compiuta un'idea di vera e propria narrazione, con scelte linguistiche mirate all'obbiettivo. Il soggetto e il trattamento mi sembrano poi tra quelli più "aggiornati"; in questo caso aggiornati a certa narrativa post-cannibale e che del cinismo cannibale ha comunque tenuto un'eco nel gusto di uno straniamento raggiunto per iperbole, ironia o paradosso. Il racconto disegna tratttorie tutt'altro che scontate (p.e., la storia dei tempi in cui non c'era il servosterzo), regala un'aforisma da filosofia del camionismo ("Il senso della manovra penso che è una cosa ereditaria come non so le lentiggini o un brutto carattere") e nel complesso tiene e diverte, nonostante alcune ridondanze. (Martino Baldi)
Una prosa fulminea ma non precoce che,
se assumesse pieghe più surreali (se ad esempio prendesse una piega diversa dopo
la trasfromazione in "pianta da cortile"), potrebbe andare nella direzione dei
romanzi brevi di Manganelli; asciuttezza e sobrietà al punto giusto. (Luigi
Nacci)
Io no so fare niente
Io non so fare niente ma niente di niente. Non so leggere non so
scrivere non so fare i calcoli non conosco nessuna lingua tranne la mia e a dire
il vero la mia neanche tanto bene. Sono così da quando ero bambina. A scuola
pensavano che facevo finta: “Come fai a non capire nemmeno questo? – dicevano –
è semplice, è che non vuoi e ci stai prendendo in giro tutti”. Ma perché dovevo
prenderli in giro? Non so fare nemmeno quello. Ma c’è una cosa che so fare
meglio di tutti di questo sono sicura: guidare il camion. Non guidare così per
guidare qualsiasi cosa no. Guidare il camion. Tutti i camion. Quello a rimorchio
il bilico i trasporti eccezionali – quelli sono quelli che mi piacciono di più
perché devo andare pianissimo in strade drittissime e se delle volte mi viene da
pensare qualcosa mi resta in testa. Quando invece devo fare dei percorsi lunghi
e pieni di curve con la merce che se non arrivo in tempo va a male non riesco a
pensare a niente. È come se ho una clessidra in testa con la sabbia o l’acqua o
quello che è che scende solo da una parte e che quando ha finito non la puoi più
girare. Allora sento che mi scende la sabbia da un’orecchia all’altra e che devo
fare in fretta sempre più in fretta che se la roba marcisce nel cassone poi non
pagano neanche il mio padrone. E dopo mi dispiace perché io posso anche restare
senza soldi ma lui come fa se non guadagna? Come li paga tutti i camion la nafta
e noi che stiamo sempre lì a chiedergli soldi? La voglia di guidare il camion
m’è venuta che avevo cinque anni. Mio padre l’uomo più fantastico del mondo
guidava sempre camion grossi. Abitavamo a Pescara in un appartamento al terzo
piano che girava su tre angoli della casa. Lo vedevo dal balcone mettere in moto
e lo salutavo anche se so che non mi vedeva ma tanto lo so che lo sapeva che lo
salutavo. Partiva da sotto il cortile girava dietro l’angolo e io lo vedevo
dalle tre finestre finché non lo vedevo più. Una volta ho anche pensato che non
tornava più. Mangiava sempre le pesche dopo pranzo e una volta che un contadino
ce le aveva regalate per la fretta di partire ne ha mangiata una che era ancora
sporca di verde rame. Mia nonna dice che il verde rame è veleno e che “va a
finire che muore”. Non era mica vero. Però quella notte non sono riuscita a
dormire fin quando non l’ho sentito tornare a casa. Sono stata tanto male e ho
pensato che era meglio se moriva mia nonna invece che lui. Poi ho pensato che
non era un gran bel pensiero perché in fin dei conti mia nonna ci dava da
mangiare a tutti. È lì che ho capito che il mio desiderio più profondo è che non
volevo che moriva nessuno e che volevo guidare il camion anch’io. Già ad otto
anni mi faceva mettere la macchina in un garage piccolissimo che quando c’era la
macchina dentro se mettevi anche la bicicletta non si usciva più. Il senso della
manovra penso che è una cosa ereditaria come non so le lentiggini o un brutto
carattere. Adesso che non guida più perché ha avuto un infarto mi dice che una
volta era tutto più scomodo che non c’era nemmeno il servo sterzo e che quando
dovevi fare delle manovre dovevi puntare una gamba sul cruscotto e tirare con
tutte le forze nei raggi dello sterzo con tutte due le mani. Mi diceva anche che
ai suoi tempi non è che portavi il carico e lo lasciavi lì e te ne fregavi.
Dovevi anche scaricarlo e che se non c’era nessuno che t’aiutava dovevi fartelo
da solo. Diceva che quando sapeva di dover scaricare i sacchi di farina o di
granturco mangiava a colazione otto etti di maccheroni col ragù perché diceva
metti che là non c’è nessuno che t’aiuta dopo cosa fai? Adesso è tutto più
semplice siamo diventati come dei professionisti. Ci caricano il camion di tutto
quello che c’è noi facciamo i chilometri che dobbiamo fare e quando arriviamo
nel posto giusto che il più delle volte ci si mette di più a trovare il posto
giusto che a fare tutto il viaggio dopo là c’è sempre qualcuno gentile che ci
scarica il camion. Il rispetto me lo sono guadagnato sul campo facendo manovre
che molti uomini non si sognano neanche. Io so sempre qual è la manovra giusta.
Dove va il rimorchio se giro di qua dove va se lo giro poco dove va se lo giro
tanto o dove va se non lo giro per niente. E poi poiché non ho nessuno a casa
che mi aspetta io lavoro giorno e notte sabato e domenica Natale Pasqua e
Capodanno e poi faccio i viaggi lunghi che non vuole fare nessuno perché al
contrario di quelli corti sei pagato di meno. Cioè non è che sei pagato di meno
è che devi tirarti giù dai tuoi soldi i soldi per il secondo autista. Ma io non
ho mai avuto bisogno del secondo autista perché quando sono stanca mi fermo
un’oretta in piazzola e poi riparto per altre otto ore di sicuro. Il fatto poi
che non sono una bella donna e che sono più grande e grossa di molti uomini mi
ha salvato dalle scocciature. Solo una volta sono stata violentata perché era un
uomo veramente grosso solo che dopo mi ha chiesto scusa e ha pianto e ha detto
che l’aveva fatto perché nessuna donna lo voleva e allora mi ha fatto anche pena
e non l’ho neanche denunciato. Poi a parte i pugni e i calci e gli schiaffi non
so nemmeno se è riuscito ad entrare perché è venuto grugnendo come un maiale
appena mi ha sfilato le mutande. Io non ce l’ho con lui non ce l’ho con nessuno.
Io guido il camion non faccio incidenti e non do fastidio a nessuno.
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